martedì 22 marzo 2016

IL CASO MORO, FRA MENZOGNE E SCOMODE VERITÀ MAI RACCONTATE!



Milano – Sono trascorsi quasi 40 anni, ma ancora aleggia una pesante cappa di mistero su una delle pagine più controverse e discusse nella storia di questo malandato e ridicolo paese. Il sequestro e la successiva, barbara esecuzione di Aldo Moro hanno sempre rappresentato un’autentica spina nel fianco per quell’establishment politico che vede oggi nei propri portaborse e delfini, l’indegna prosecuzione di un asservimento verso logiche che vanno ben al di sopra di un semplice omicidio “di Stato”.
Non è un mistero che il ruolo di Moro del resto era divenuto assai pericoloso per chi si stava apprestando a svendere questo paese ad un potere oscuro e criminale. Ad esempio, c’e chi come il giudice Ferdinando Imposimato ha addirittura intravisto nel rapimento del presidente della Democrazia Cristiana, la prosecuzione di un disegno diabolico iniziato con l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy nei confronti di chi si stava opponendo al piano di togliere sovranità politica e monetaria ai più importanti paesi, al fine di sventare il piano liberticida e criminale delle massonerie internazionali!
Ma cosa è stato fatto realmente per salvare il grande statista democristiano? Se n’e’ parlato nel corso di un incontro tenutosi al Circolo della Stampa del capoluogo lombardo ieri pomeriggio, in cui sono stati esposti i risultati della commissione parlamentare di inchiesta.
Il quadro che è emerso ha confermato quanto – almeno personalmente – ho sempre immaginato e pensato: per salvare Aldo Moro, non è stato fatto praticamente tutto quanto era necessario. Se non addirittura, nulla. Dal punto di vista umano, ho sempre provato una grande compassione per la vicenda di un uomo che – con il trascorrere dei giorni e delle ore – e’ stato letteralmente abbandonato in maniera infame e vigliacca, oltre che tradito, da chi solo a parole (ma non certo poi nel momento del bisogno, così come abbiamo avuto modo di verificare) gli era amico.
Dal punto di vista della ricostruzione storica dei fatti, invece, sono emersi inquietanti elementi di depistaggio sin dai primissimi, drammatici momenti successivi al rapimento da parte di quel comando di terroristi delle Brigate Rosse che assalto’ – con un’azione di stampo tipicamente militare – l’auto e la scorta che stavano accompagnando l’onorevole Moro in Parlamento, la mattina del 16 marzo 1978 in via Fani a Roma.
Sullo sfondo, una DC profondamente spaccata al suo interno fra chi ne apprezzava l’operato e chi invece addirittura lo voleva morto, facendo già stampare e tappezzare Roma con i manifesti funebri prima ancora che fosse effettuata l’esecuzione!
Un’azione ben congegnata è studiata da molto lontano, con i terroristi che avevano studiato le abitudini quotidiane e gli spostamenti di Moro già da diversi mesi. Ma senza che nulla fosse stato fatto per garantirne l’incolumità, nonostante le preoccupazioni da quest’ultimo manifestate a più riprese nei confronti del capo della Polizia. E la piena consapevolezza, del pericolo cui era sottoposto insieme agli uomini della sua scorta che mai lo avrebbero abbandonato.
Il convegno tenutosi al Circolo della Stampa a Milano sul "caso Moro"
Per non parlare poi della questione dei documenti relativi agli interrogatori fatti verso l’allora presidente della DC e lasciati trovare dalle BR nel covo di via Montenevoso, ma che i Governi successivi non hanno mai voluto rendere pubblici.
Tanti segreti nascosti, su cui qualcuno ha ritenuto opportuno negare la verità ai cittadini ed anche alla famiglia di Moro. Una cortina fumogena, in cui esistono “verità dicibili” ma bloccate, e che mirano a salvare l’onore di una DC che da questa vicenda ne esce con le ossa rotte e con il marchio dell’infamia e della vergogna che gli rimarranno appiccicate addosso per sempre. Ed altre invece “indicibili”, come quelle cui fece riferimento il boss mafioso Tommaso Buscetta quando era interrogato dal giudice Giovanni Falcone. O magari quelle che si possono evincere da certe intercettazioni secretate del boss mafioso Totò Riina che quando parlava dell’omicidio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, faceva riferimento ai documenti top secret, in mano ad Aldo Moro.
Ma in questa  vicenda, come già detto, entrano in gioco i Servizi Segreti, Gladio e naturalmente la massoneria, con la P2. C’era chi sapeva, ma o si è mosso con colpevole ritardo oppure addirittura ha omesso di comunicare delle informazioni, dal contenuto - come si potrà facilmente immaginare – assai delicato e pesante.
Altro particolare incredibile e’ la presenza di una serie di nastri registrati delle conversazioni telefoniche intercorse fra Spadolini e Cossiga, in cui emerse come i due partiti maggiori – ovvero la DC ed il PCI – volevano isolare politicamente Moro. Il tutto per assecondare sia la volontà delle cancellerie americane, che di quelle sovietiche che vedevano in lui una minaccia alla logica dei blocchi contrapposti, allora imperante e che poteva probabilmente anticipare di alcuni anni il crollo dei regimi comunisti dell’est europeo. Il tutto in una visione politica totalmente diversa, in cui lo statista democristiano ipotizzava la nascita probabilmente di una “terza via” che avrebbe dovuto portare ad un’Europa dei popoli assai diversa da quella delle lobby, delle massonerie e delle burocrazie.
Dal recente lavoro della Commissione Parlamentare di Inchiesta sul rapimento e la morte di Aldo Moro, e’ stata fatta una ricostruzione dei fatti di Via Fani con l’utilizzo anche di ausili tecnologici che, all’epoca dei fatti, naturalmente ancora non esistevano.
Sono state presentate in sala una serie di diapositive molto interessanti, frutto delle rielaborazioni della Polizia Scientifica che hanno anche rivisto le perizie balistiche precedenti ed in cui è stata confermata la presenza di un professionista nel comando omicida che doveva innanzitutto mettere fuori uso la scorta ed evitare di uccidere l’ostaggio, stando anche a quello che è emerso dal memoriale Morucci.
I brigatisti sfruttarono perfettamente il fattore sorpresa anche se – almeno inizialmente – i mitra (a.lcuni risalenti al periodo fascista e che potrebbero essere fatte risalire a Gladio) gli si incepparono subito. Dei 93 colpi sparati durante la violentissima colluttazione a fuoco, solo 2 furono esplosi dall’arma del povero agente Iozzino. Il resto (gli altri 91), erano usciti da una sola arma che poi non fu mai ritrovata ma i cui bossoli si trovavano vicino all’auto in cui non era presente il maresciallo Leonardi che era a capo della scorta. 
Circostanza che avvalora l’ipotesi della presenza di una quinta, se non addirittura di una sesta persona, nel gruppo che si è macchiato dell’azione terroristica. Un particolare del tutto inedito, rispetto a quanto è stato sempre sostenuto e che prospetta uno scenario del tutto inquietante e differente dal memoriale Morucci.
Ciò significa la riapertura di vecchie piste investigative che concernono la presenza di un killer professionista (probabilmente imprestato dalla ‘ndrangheta) ed in particolare di Giustino De Vuono, evaso nel 1977 e che nego’ di essere entrato nelle BR durante il suo periodo di permanenza in carcere, pur essendo un tiratore scelto nella Legione Straniera. La seconda possibile presenza esterna, e’ riconducibile alla presenza di terroristi della RAF (Rotee Armee Fraktion), dal momento che nelle intercettazioni emergono anche degli strani dialoghi in tedesco.
Nella scena del delitto, anche la presenza di un’auto verde di proprietà di Tullio Moscardi, ex appartenente alla 10ma MAS, così come di un’auto civetta di colore rosso parcheggiata male ed in senso vietato, che fu poi fatta sparire nelle ore successive all’attentato. Diversi testimoni hanno confermato l’arrivo di un’Alfa Sud nei minuti che seguirono a quei drammatici momenti ed il cui ruolo non è mai stato sufficientemente chiarito.
Dopo l’esecuzione degli uomini che accompagnavano Moro, lo stesso statista viene portato nella 132 con un plaid che ne copre il volto, in un modo del tutto plausibile alle modalità tipiche di un sequestro di persona. Poi la prigionia, durata 55 giorni, in cui ricordiamo anche il modo con cui Dalla Chiesa fu bloccato, mentre era sul punto di scoprire dove fosse stato tenuto nascosto. Un lasso di tempo nel corso del quale, anche l’attività’ di intelligence dei Servizi Segreti e di chi avrebbe potuto fare molto di più, si è paradossalmente arenata di fronte ad omissioni gravi e che alimentano sospetti a dir poco inquietanti. E che lascia aperta anche la prospettiva del possibile coinvolgimento di altri paesi, a conferma degli interessi e della posta in gioco.
Lo stesso Generale dell’Arma dei Carabinieri avrebbe poi ritrovato il memoriale Moro, ma mai lo consegnò ai magistrati perché non si fidava, così come aveva confidato alla moglie Emanuela Setti Carraro. Materiale scottante, di cui poi non si è mai più avuta notizia e che non aiuta certo a fare piena luce su questa vicenda, dove le nostre istituzioni – in primis, l’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti – sono pesantemente tirate in ballo ed anch’esse hanno sempre avuto la loro bella e sostanziosa fetta di responsabilità. Così come la storia dei 10 milioni di dollari che sarebbero stati messi a disposizione, per liberare Moro dai suoi carcerieri e di cui lo stesso Andreotti avrebbe accennato al Papa, Paolo VI.
Il 9 maggio 1978, il tragico epilogo dove non è mai stata fatta piena chiarezza sul numero di colpi esplosi, sul punto esatto in cui è stato giustiziato ed anche sui minuti di agonia (c’e chi dice 30, chi 45) che ne hanno accompagnato gli ultimi istanti della sua vita. Ed altri particolari, apparentemente insignificanti come la mucillagine e la sabbia che sono stati ritrovati sotto le sue scarpe, o addirittura dei peli di cane!
Pezzi di magistratura, servizi segreti deviati ed anche certa classe politica che su questa vergogna – definita da Carlo Bo, delitto di abbandono - ci avrebbe poi costruito le proprie fortune. L’affaire Moro, ovvero una delle pagine più buie e vergognose scritte con il marchio e la puzza del marcio da questo regime dittatoriale, in avanzato stato di putrefazione e decomposizione!
Un martire che - stando alle dichiarazioni di Steve Pieczenik, consulente del Dipartimento USA per il terrorismo e che in quel periodo faceva parte del comitato di crisi voluto dall’allora Ministro degli Interni, Francesco Cossiga – non poteva che trovare solo quella tragica sorte, dal momento che gli americani temevano fortemente sia la reazione dei cittadini italiani, di fronte alla morte del presidente DC che la sua possibile, ma purtroppo mai avvenuta, liberazione.
Ma la sapremo un giorno finalmente la verità? Avremo il diritto di sapere movente e mandanti di quello che possiamo ancora oggi a giusta ragione ritenere uno dei più sconcertanti ed inquietanti misteri della nostra storia recente? Chi, ancora oggi, ha interesse a coprire questa incredibile e nauseabonda montagna di bugie e menzogne, a distanza di quasi 40 anni?

Francesco Montanino